I governi degli stati Membri dell’Unione Europea sembra stiano per giungere ad un faticoso accordo che potrebbe dare una risposta europea soddisfacente, con la “potenza di fuoco” auspicata dal Premier italiano Conte, per fronteggiare la crisi epocale del covid19.

Ma “in attesa che il Recovery Fund si materializzi” ha giustamente precisato il Presidente dell’Europarlamento David Sassoli, in un’intervista pubblicata oggi dal Corriere della Sera, “sarebbe bene che i Paesi si attrezzassero per essere capaci di spendere.

È un problema che devono porsi tutti gli Stati, tanto più quelli che saranno più esposti alla crisi. Oggi in condizioni normali ci sono Paesi che non sono in grado di farlo e rimandano i soldi indietro”. Il riferimento al proprio paese non è sfuggito a Paolo Valentino, autore dell’intervista, e Sassoli ha quindi precisato: «credo che l’Italia debba prepararsi pianificando la spesa.

Anche con aggiustamenti, rivedendo, correggendo o razionalizzando le procedure, il codice degli appalti, i meccanismi burocratici che spesso impediscono o rallentano l’accesso alle risorse europee. Non è solo un problema dell’Amministrazione pubblica, centrale o regionale, ma anche di quelle private. Il sistema bancario per esempio deve semplificare la propria burocrazia. Non vorrei si costruisse la leggenda di un’Europa matrigna e ingrata, per fare da schermo a insufficienze di gestione che sono nostre. L’importante adesso è lavorare a progetti. Per esempio, rifondare il sistema sanitario, usando la linea sanitaria del MES».

È ovvio che, una volta terminate, come spero, le invettive contro l’Europa matrigna, l’Italia dovrà cominciare a fare seria autocritica ed a rimboccarsi le mani. Perché il grande Piano Marshall europeo, auspicato da tanti, a differenza di quello omonimo, non viene da un Paese terzo, gli Usa, vincitori della Seconda Guerra Mondiale. Viene invece dalle tasche di tutti i contribuenti europei. I quali, giustamente, prima di accettare di aiutare il vicino più bisognoso, applicando la tanto richiesta solidarietà, hanno anche il diritto di essere certi che il proprio aiuto non verrà sprecato, e non diventerà provento di corrotti, mafiosi e frodatori, ma anche oggetto dell’incapacità gestionale e amministrativa delle burocrazie d paesi quali l’Italia, considerati cicale d’Europa, rispetto alle formiche nordiche.
E gli italiani non potranno e dovranno fare i conti solo con gli aiuti che vengono dall’Europa. Che poi sono anche i loro soldi. Dovranno metterci del loro. A cominciare dalla volontà di fare ripartire la nostra economia attraverso le auspicate riforme della pubblica amministrazione e, in primis, della macchina giudiziaria. Che costituiscono i principali pantani istituzionali nei quali arranca chi vuole fare impresa in Italia.

Pensiamo ad esempio all’edilizia. I francesi dicono giustamente “quand le bâtiment va, tout va”, quando l’edilizia funziona, tutto funziona. E Daniele Sciarra, su Repubblica, ha ricordato ieri che si potrebbe rimettere in moto l’economia con la ristrutturazione energetica per 1,2 milioni di condomini e 430 mila posti di lavoro.
E parla di “un piano per far ripartire l’economia rimettendo in moto il settore dell’edilizia”, segnalando che Fillea Cgil e Legambiente hanno condiviso un piano di rilancio del settore fondato sui criteri della sostenibilità e qualità del lavoro.
Sarebbe davvero ora. Rilanciare subito l’occupazione partendo dal settore dell’edilizia, che è uno storico volano dell’economia, ci sembra una necessità inderogabile ed assolutamente urgente.
Come sarebbe urgente una riflessione collettiva su come far ripartire il motore dell’economia e su come alimentare la speranza di futuri fonti di sostentamento. Non c’è davvero altro tempo da perdere.

Le istituzioni governative devono però agire subito con forza, coraggio e velocità per evitare che la crisi economica originata da questa emergenza pandemica si trasformi in ulteriori tragedie familiari.

È inutile negarlo, la crisi non può essere affrontata solo con i bilanci pubblici, siano essi europei, nazionali o regionali. Non si può infatti sperare che l’Ue, lo stato o le regioni possano distribuire una montagna di risorse. Che poi vengono sempre dalle tasche dei cittadini. E i sussidi di occupazione e di disoccupazione, e il rinvio delle scadenze per le imposte sono passi importanti solo nel breve-medio periodo. Bisogna quindi puntare ad assicurare e proteggere l’occupazione e la capacità produttiva del Paese sul lungo termine. E per questo bisogna saper mobilitare la totalità dei sistemi finanziari puntando al doppio binario dei bilanci pubblici e dei risparmi privati, che in Italia sono notoriamente una ricchezza nazionale.

Ma quali sono le misure più immediate che si devono mettere in campo per gestire e far ripartire da subito la nostra economia?
La prima che mi viene in mente è proprio quello degli interventi nel settore immobiliare e sull’edilizia. Da sempre volani della occupazione soprattutto nelle zone con maggiore tasso di disoccupazione. Penso ad esempio alle “ristrutturazioni” del patrimonio esistente con ampliamenti delle cubature favorendo le tematiche ambientali con “l’architettura sostenibile”. Ampliando in termini percentuali i cosiddetti ” bonus volumetrici” e ridimensionando, o talvolta eliminando, inutili e “archeologici” vincoli paesaggistici e urbanistici che in alcune Regioni sono stati emanati con molta fantasia tanto da mandare in sofferenza importanti settori occupazionali.

Penso poi al condono e alla sanatoria edilizia su aree non idrogeologiche, come misure di razionalizzazione e correzione delle finanze pubbliche atte a favorire lo sviluppo.
Penso infine alle “ristrutturazioni” con ampliamento delle cubature dei fabbricati preesistenti.
Bisogna infatti tenere presente che negli ultimi anni, in alcune aree, amministrate da burocrati incapaci di capire o interpretare le esigenze della comunità, la burocrazia, imponendo dei vincoli urbanistici del tutto arbitrarie, ha inciso negativamente sulla crisi economica ed occupazionale. Con la conseguente desertificazione umana. Ha messo in ginocchio le famiglie già disagiate, alimentando disoccupazione con la conseguenza di far fuggire quei pochi giovani rimasti alla ricerca di un lavoro in altri territori.
Per quanto riguarda poi i vincoli boschivi, sarebbe bastato un semplice riscontro a tavolino, anche con orto foto storiche, per evitare fantasiosi vincoli di cui gli interessati riescono ad averne notizia solo occasionalmente. E spesso non sono neppure bastate perizie e ricorsi a convincere i burocrati a riparare gli errori.
Con costi non solo per i cittadini esasperati, ma anche per l’intera collettività.
Ed ora che è diventato assolutamente urgente saper aprire tutti i possibili rubinetti dell’economia pubblica e privata, questa situazione non è più tollerabile. E sarà giusto che avremo gli occhi dei contribuenti degli altri Paesi europei puntati su di noi per vedere se sapremo evitare di essere vittime dei nostri mali. Dei quali anche loro, nell’invocata solidarietà europea, saranno pure vittime.





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