Ogni volta che appare in tv o si sente la sua voce in radio (la domenica sera è su Radiodue con Grazie dei fiori), colpisce il suo modo di condurre: garbato, educato, mai sopra le righe. Ma se etichettassimo Pino Strabioli come conduttore televisivo o radiofonico sarebbe fargli torto, perché è anche attore, regista, direttore artistico di importanti festival. Non rimane che una opzione: chiederglielo direttamente.

Pino Strabioli: una definizione di te stesso.

«Mi definisco un curioso, una persona che ha ha avuto la fortuna di poter vivere delle proprie passioni. E che non si è mai accomodata su una sola di esse pur avendone tante: sono il teatro, prevalentemente, la televisione, la radio, le direzioni artistiche di teatri e festival. Il teatro è quello che mi somiglia di più, che cerco di cucire su me stesso. Sono un curioso che continua a viaggiare saltellando, probabilmente sono un po’ un ibrido, ma siccome l’ibrido pare che funzioni, inquina meno, mi sento meno inquinante di tanti altri».

Quando è nata la tua passione per il teatro?

«Mio padre, poliziotto, era in una caserma a Orvieto, andavo a teatro durante scuole medie e liceo e mi sono innamorato degli attori che ho visto, da Rossella Falk a Valentina Cortese a Umberto Orsini, Gabriele Lavia, Giorgio Albertazzi. Poi ho lasciato Orvieto e mi sono trasferito a Roma dove mi sono iscritto a a Lettere con indirizzo storia dello spettacolo. Ho frequentato una scuola di teatro,  poi una serie incontri fortunati mi hanno permesso di cominciare quest’avventura».

La tua famiglia ha appoggiato le tue scelte?

«La mia era una famiglia normalissima, nessuno aveva a che fare con lo spettacolo o il teatro in generale, non mi hanno né osteggiato né spinto, mi hanno lasciato molta libertà, sono stati molto rispettosi. Mio padre è stato orgoglioso di quello che facevo,  mentre mamma, fino all’ultimo, mi chiedeva quando avrei trovato un lavoro vero. Ad ogni modo,  sento di doverli ringraziare per i valori che mi hanno trasmesso e per la comprensione».

Che bambino sei stato?

«Un bambino molto solitario. Molto legato a mia madre, che aveva lasciato Roma per seguire mio padre che stava prima in una caserma a Porto San Giorgio dove sono nato per caso. Sentendosi sola mi ha fatto vivere in una bolla. Sono stato oltre che solitario un bambino e un po’ presuntuoso rispetto ai coetanei, nel senso che non mi riconoscevo in loro. Quando sono cresciuto ho cominciato a frequentare le persone più adulte».

La prima volta sul palcoscenico?

In un un piccolo teatro romano,  il Teatro dell’orologio, lì  ho capito che su quelle tavole mi sentivo bene perché riuscivo a raccontare delle cose. Poi ho cominciato a scrivere, scrivevo per l’Unità, andavo a bussare ai camerini degli attori e da lì ho capito che sia ascoltare che raccontare erano due cose che mi interessavano».

Garbato, educato, gentile: c’è niente che ti faccia arrabbiare?

«Non sopporto l’arroganza, il giudizio scontato, il pregiudizio, per cui in quei casi evito di incontrare le persone che mi suscitano questi sentimenti.

Per il resto sono così, non è un atteggiamento la mia educazione, io penso che bisognerebbe mettere al centro della propria esistenza la gentilezza e difendersi dalla volgarità. Di volgarità ce n’è tanta in giro, cerco di evitarla il più possibile non solo nel mestiere ma nella vita in generale. Noi in teatro possiamo essere altro ma in televisione e nella vita non si può mentire: si legge quello che si è».

Insisto: ti sarà capitato di avere un discussione, anche solo per una mancata precedenza…

«Quando si alza la voce io mi ammutolisco mi blocco la prepotenza proprio mi paralizza per cui no non sono mai arrivato a liti, così come da bambino non ho mai fatto a botte con i miei coetanei».

Sei in teatro, squilla il cellulare di uno spettatore. Cosa fai?

«Dipende dallo spettacolo che sto facendo. Se è possibile spezzare la narrazione lo faccio, la cosa più fastidiosa sono quelli che tengono la luce accesa e ti riprendono. E’ una cosa terribile della nostra epoca il fatto che non si riesca a dedicare un’ora della propria attenzione alla cosa alla quale stai assistendo, mi dà molto più fastidio la persona che ti riprende continuamente».

Che rapporto hai con il telefonino?

«Ho un rapporto non sano, viaggiando molto è diventato il mio ufficio. Ho una pagina Instagram che curo anche se non sono bravissimo, i giornali li leggo dal telefonino. Rispetto a internet e agli sfoghi che fanno tutti lì ci vado molto più cauto, certe volte evito di leggere certi commenti perché, come diceva Umberto Eco, internet ha dato la possibilità a tutti di esprimere opinioni, ma bisogna ponderarle, non spararle, sono contro la provocazione».

I tuoi programmi percorrono una strada che esplora, riscopre e riassembla archivi, pesca nei ricordi: cos’è per te la memoria?

«La memoria è fondamentale, in tv e in radio ci provo in tutte le maniere a tenerla viva. Purtroppo il nostro è un paese che dimentica, ma la memoria è fondamentale perché noi siamo quello che sono stati altri prima di noi. Bisogna mantenerla viva senza cancellare il presente».

Il rapporto con Maurizio Costanzo?

«E’ nato in maniera abbastanza casuale e via via è andato costruendosi, abbiamo fatto insieme un ciclo di Insonnia, poi due cicli di Io li conoscevo bene. Scoprire grazie a Maurizio il quotidiano di questi grandi personaggi, ogni volta è un arricchimento. Io ho sempre bisogno di avere un maestro, se all’inizio sono stati Paolo Poli, Franca Valeri, Ugo Gregoretti, adesso considero Maurizio un punto di riferimento».

Prima di congedarci, apriamo insieme l’agenda di Pino Strabioli e diamo un’occhiata ai prossimi impegni.

«In giro con Patty Pravo in Minaccia bionda , poi andrò a fare un omaggio a Paolo Poli con Lucia Poli a Montopoli, dopodiché sarò a Napoli nei giardini di Palazzo Reale: il 30 intervisto Enrico Brignano, il 5 luglio, insieme a Maurizio Costanzo, Aurelio De Laurentiis, il 6 Mara Venier, poi una serata a dedicata a Luciano De Crescenzo, poi con Christian De Sica in Una serata tra amici, direttore artistico del Roseto film festival. Apro l’agenda e mi metto paura, poi vado. Dimenticavo:  a Orvieto ho la direzione artistica di tre concerti, Rkomi, Noemi e Carmen Consoli».

 

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