Hollywood sforna commedie e saghe strappalacrime da oltre un secolo, ma i film a lieto fine più belli hanno sempre qualcosa di speciale: il gol della vittoria, il bacio romantico, il brano musicale che vi coglie totalmente di sorpresa. Qui di seguito abbiamo raccolto 31 film perfetti da guardare quando servono un po’ di carica e un lieto fine garantito.

Luci della città (1931)

Che Dio abbia pietà di voi se riuscite a guardare la scena finale di questo classico del cinema muto senza versare una lacrima. Tra una gag esilarante e l’altra, il piccolo vagabondo fa amicizia con una donna cieca che vende fiori per strada. Quando le dona quel poco che ha, la donna si convince che debba trattarsi di una persona ricca e potente (una fantasia che Charlot asseconda). Quando, alla fine del film, recupera la vista, la donna vede il vagabondo per ciò che è veramente e ne ha compassione, ma non lo riconosce. Quando però mette una moneta nella mano del povero, lo riconosce subito grazie al tatto e capisce che anche il suo benefattore era sempre stato in estrema povertà. —Anthony Breznican

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La moglie del vescovo (1947)

Ogni anno, durante le festività natalizie, mi rimpinzo di questo stucchevole concentrato d’amore proibito tra l’angelo Dudley (Cary Grant) e la mortale Julia (Loretta Young), moglie del vescovo locale (David Niven). L’irresistibile scena della pattinata notturna sul ghiaccio racchiude l’essenza del film quando il tassista Sylvester (James Gleason) dice ai suoi passeggeri (Dudley e Julia) che non devono pagare niente per la corsa: «Le mie tasche sono piene delle banconote della banca di soddisfazione (…) perché lei e la bella signora mi avete ridato fiducia nella natura umana». —David Friend

Harvey (1950)

In questa stravagante commedia di provincia, James Stewart è un simpatico tipo strambo che crede di essere costantemente seguito da un coniglio invisibile alto due metri di nome Harvey. Il regista Henry Koster (che, per combinazione, ha diretto anche La moglie del vescovo) ha realizzato una variante scanzonata della storia di Don Chisciotte, idealizzando il ruolo giocato dai sognatori inguaribili nel mostrare agli altri il mondo non com’è veramente, ma come potrebbe o dovrebbe essere. A fornire la morale di Harvey è un tassista che porta (e va a prendere) spesso i pazienti alla clinica psichiatrica. Quando il personaggio di Stewart si fa finalmente ricoverare per curarsi, il tassista dichiara: «Dopo l’iniezione, sarà un essere umano perfettamente normale: un fetente come tutti gli altri!». —A.B

Cantando sotto la pioggia (1952)

All’epoca, questo musical esuberante fu stranamente sottovalutato, il che potrebbe essere l’ennesimo motivo per cui lo si celebra tanto da allora: tutti amano gli sfavoriti. Certo, le canzoni sono famose e i balletti di Gene Kelly, Donald O’Connor e Debbie Reynolds sono straordinari. Ma le continue frecciate su Hollywood, la languida atmosfera romantica e l’energia del «diamo spettacolo!» lo rendono il musical più edificante della sua epoca. —Katey Rich

Vacanze romane (1953)

Non dovrei avere bisogno di convincervi della bontà della premessa di Audrey Hepburn che se ne va a zonzo per Roma con Gregory Peck (ruolo per cui ha vinto il suo primo e unico Oscar alla miglior attrice!). Ma ai fan moderni di Audrey Hepburn, che trovano una pietra miliare datata come Colazione da Tiffany troppo strana per i loro gusti, comunico con grande piacere che ogni fotogramma di Vacanze romane invecchia bene. Che sollievo veder finire bene il topos della principessa in incognito e del suo ignaro accompagnatore! Anche se si tratta a buon diritto di un film iconico in termini di evasione sentimentale dalla realtà, non bisogna dimenticare che Vacanze romane, pieno di battute esilaranti di grande qualità, è anche spassoso. —Delia Cai

I gigli del campo (1963)

A distanza di 60 anni, e nel ruolo che gli è valso l’Oscar al miglior attore, il carisma che Sidney Poitier infonde al personaggio di Homer Smith (un tuttofare itinerante che fa amicizia con un gruppo di suore provenienti dalla Germania e le aiuta a costruire una chiesa in mezzo al deserto) non è diminuito di una virgola. Pur essendo una storia sul superamento delle differenze razziali, I gigli del campo non è affatto un film buonista e tratta i suoi personaggi anzitutto come individui. Gradualmente, anche ciascuno di loro arriva a valutarsi in questi termini, non tanto ignorando le rispettive differenze di razza, fede o nazionalità, ma piuttosto condividendole, mescolando le proprie tradizioni e unendo le forze per una causa comune. —A.B.

Harold e Maude (1971)

A leggere velocemente la sinossi di Harold e Maude, si rischia di rimanere sbigottiti: un adolescente ossessionato dalla morte si innamora di una 79enne di spirito libero. Harold spreca la giovinezza inscenando finti suicidi realistici e raccapriccianti. Poi incontra Maude, una donna brillante e mordace abbastanza vicina alla tomba da insegnargli il valore della vita. Con il tempo, il fiasco di Hal Ashby è diventato un classico di culto nonché una delle migliori commedie romantiche della storia, amata da generazioni di dark e fricchettoni che hanno accettato l’affascinante unione di Bud Cort e Ruth Gordon. —Joy Press

Gregory’s Girl (1981)

Ambientato in una scuola superiore scozzese e realizzato con un budget irrisorio, il secondo film di Bill Forsyth è diventato inaspettatamente un successo mondiale. Tutti i personaggi sono delineati alla perfezione, dal mago della pasticceria adolescente al nerd sfigato deciso a fare l’autostop per Caracas, dove le donne dovrebbero essere molto più numerose degli uomini. Ma il cuore tenero del film risiede nel triangolo amoroso tra l’imbranato sognatore Gregory (John Gordon Sinclair), la stella del calcio femminile Dorothy (Dee Hepburn) e Susan, un folletto sornione col basco interpretato da Clare Grogan, che presto sarebbe diventata famosa come cantante del gruppo new wave degli Altered Images. Gregory’s Girl è una commedia perfetta sul raggiungimento della maturità, che mescola concreto realismo e occhi dolci da prima cotta. —J.P.

Una pazza giornata di vacanza (1986)

Ferris Bueller (Matthew Broderick), studente all’ultimo anno di liceo, marina la scuola con la sua ragazza (Mia Sara) e il suo rigido migliore amico (Alan Ruck) e fa di tutto per renderlo il giorno più magico della loro vita, tra corse in Ferrari, visite a musei d’arte ed esibizioni canore a una parata. La lettera d’amore di John Hughes a Chicago è ricca di battute da citare e scene carismatiche, ma a renderlo davvero un capolavoro è la pura gioia di questo film: la storia di un ragazzo che mostra a un amico quante cose ci sono per cui vale la pena vivere. —Rebecca Ford

La storia fantastica (1987)

L’adattamento del fortunato romanzo di William Goldman ha tutto ciò che un bambino di nove anni può desiderare da un film. Storia d’amore! Avventura! Roditori di dimensioni insolite! E più di qualche allusione che fingevate assolutamente di capire prima di rendervi conto, nel corso delle visioni successive, quanto foste fuori strada. Un nonno (Peter Falk) legge al nipote (Fred Savage prima del successo di Blue Jeans) la dolce storia di Bottondoro (Robin Wright) e Westley (Cary Elwes), costretti a separarsi quando la nave di lui viene attaccata dal pirata Roberts. Prima di ricongiungersi con il suo amato, anni dopo, Bottondoro dovrà fidanzarsi con l’untuoso principe Humperdinck (Chris Sarandon) e verrà rapita da una scalcinata banda di fuorilegge (Mandy Patinkin, Wallace Shawn e André the Giant). Cercate una storia d’amore postmoderna a lieto fine particolarmente degna d’essere citata? Eccovi accontentati. —Natalie Jarvey

Una donna in carriera (1988)

I momenti iniziali della commedia di Mike Nichols ambientata sul posto di lavoro (quelle riprese a 360° della Statua della Libertà e del traghetto di Staten Island dall’elicottero con in sottofondo la canzone originale Let the River Run di Carly Simon, premiata con l’Oscar) basta e avanza per convincere della bontà della storia da Cenerentola dell’aspirante imprenditrice Tess McGill (Melanie Griffith). Ma ci sono molte altre perle: la seducente cattiva di Sigourney Weaver nel ruolo della boss WASP Katharine Parker; l’interpretazione da rubacuori d’alta classe di Harrison Ford nei panni di Jack Trainer, prima collaboratore e poi oggetto delle attenzioni romantiche di Tess; Cyn, la sua stravagante migliore amica interpretata da Joan Cusack, che cinguetta: «Caffè, tè, me?»; e, naturalmente, l’iconica (benché controversa) battuta: «Ho un cervello per gli affari e un corpo per il peccato». —Savannah Walsh

L’uomo dei sogni (1989)

Non è esattamente un film sul baseball, né sui campi di granturco, né sull’Iowa, quanto piuttosto sulle seconde occasioni. L’uomo dei sogni è una storia di realismo magico che accarezza il sogno di una seconda possibilità. L’onesto contadino Ray, interpretato da Kevin Costner, sente una voce eterea sussurrargli: «Se lo costruisci, lui tornerà». Chi sia questo «lui» non viene mai esplicitato del tutto, ma Ray si convince di dover trasformare gran parte della fattoria, già in difficoltà, in un campo da baseball. Poco alla volta, appaiono i fantasmi di vari giocatori di baseball caduti in disgrazia; uno scrittore solitario (James Earl Jones) perde il suo cinismo; un medico che ha abbandonato il sogno di giocare in serie A (Burt Lancaster) riemerge dal passato; e alla fine Costner ritrova il padre perduto, con cui si mette a lanciarsi la palla. Pur affondando le radici nel fantasy, L’uomo dei sogni ci ricorda che l’unico modo per vivere è di mettercela tutta ogni volta. —A.B.

Sister Act (1992)

Film così (ovvero, commedie musicali frizzanti su sboccate cantanti da piano bar che assistono a un omicidio, si rifugiano in un convento e insegnano alle sue riservate inquiline a scatenarsi col rock) non se ne fanno proprio più. Whoopi Goldberg è così perfetta nei panni della suora in fuga Deloris Van Cartier che si stenta a credere che la parte fosse stata pensata per Bette Midler (e il fatto che Goldberg non sappia davvero cantare la rende ancora più adatta al ruolo). Ad affiancarla, inoltre, c’è un cast di professionisti (Maggie Smith, Harvey Keitel, Kathy Najimy) che trasforma quella che poteva essere una boiata qualunque degli anni ’90 in un classico da rivedere all’infinito. Neanche Papa Giovanni Paolo II riesce a guardare Deloris e il suo coro senza lasciarsi andare a una standing ovation. —Hillary Busis

Il rapporto Pelican (1993)

Un thriller legale che inizia con l’omicidio di due giudici della Corte Suprema non sembra una visione confortevole e rassicurante, ma a imprimere forza a Il rapporto Pelican (tratto dal bestseller di John Grisham del 1992) è qualcosa di meglio di una storia d’amore: vale a dire, Julia Roberts e Denzel Washington, che interpretano due giovani sensibili alla ricerca della verità contro un sistema politico corrotto. Roberts interpreta con magnifica vulnerabilità una studentessa di giurisprudenza della Tulane University che finisce al centro del mirino per aver formulato la teoria sugli omicidi che dà il titolo al film. Washington è un giornalista di successo, l’unico di cui lei si possa fidare. Il film, dal ritmo abbastanza sostenuto da trainare il matinée in un giorno di pioggia (autobombe, la scena di inseguimento al Mardi Gras), è costellato di camei, a partire da quelli di Cynthia Nixon col viso da bambina e del cattivo Stanley Tucci. La nostalgia per gli anni ’90 fa parte della denominazione «a lieto fine», ma la trama del bene contro il male dei grandi capitali intenzionati a contaminare l’ambiente non è da meno. Se solo potessimo essere altrettanto fortunati… —Laura Regensdorf

Ricomincio da capo (1993)

Non capita ogni giorno che una commedia romantica tradizionale funzioni anche da allegoria della reincarnazione, distinguendosi per il ritmo ciclico, la struttura sperimentale e vaghe influenze di credenze e ideali buddisti, induisti e giudaico-cristiani. Ma aspettate un attimo… è ogni giorno! Perché il film ripete lo stesso periodo di 24 ore all’infinito, finché il meteorologo televisivo Phil Connors (Bill Murray) non capisce finalmente quant’è bello condurre un’esistenza resa davvero viva dall’amore per il proprio partner e dalla diffusione della benevolenza. Se quando arrivate alla scena della nevicata finale il vostro cuore non raddoppia di dimensione, fatevi vedere da un cardiologo. —D.F.

Ragazze a Beverly Hills (1995)

Ragazze a Beverly Hills ha tutto ciò che un film a lieto fine dovrebbe avere: qualche piccolo dramma, una protagonista leggendaria grazie ad Alicia Silverstone e una colonna sonora immediatamente riconoscibile. Certo, la storia d’amore tra ex fratellastri è un po’ strana, ma diciamocelo: chi potrebbe resistere al viso da bambino di Paul Rudd?! Anche se ha dato il via a molte tendenze discutibili (mini zaini e penne con la punta di peluche!) e a una serie di fastidiosi tormentoni («Ah, non c’è scampo!»), resta un film perfetto da mettere in coda quando serve un po’ di carica. —Kelly Butler

French Kiss (1995)

Quando si tratta di film a lieto fine, la regina è Meg Ryan: C’è posta per te, Harry, ti presento Sally…, Insonnia d’amore. Purtroppo, però, una delle sue migliori interpretazioni richiede un lettore DVD (o un videoregistratore… se ne avete ancora uno). Nel tentativo di riconquistare il fidanzato storico che si è trasferito in Francia e si è innamorato di un’altra, Kate (Ryan), nonostante la paura di volare, sale su un aereo per Parigi dove incontra Luc (Kevin Kline), un francese losco e dissoluto. Se queste due star non bastano a convincervi, c’è la campagna francese, si parla di vino e formaggi saporiti e i dialoghi si possono citare all’infinito. È un film audace, con un pizzico di raffinatezza ma senza pretese. —Kathleen Creedon

Piume di struzzo (1996)

I piaceri abbondano in questo aggiornamento spassosamente demenziale (e stranamente attuale!) di La Cage aux Folles di Mike Nichols ed Elaine May, che vede Robin Williams e Nathan Lane nei panni di una coppia gay costretta a nascondere nuovamente la propria omosessualità (più o meno) quando il figlio di uno dei due (Dan Futterman) rivela di essere fidanzato con la figlia di un senatore conservatore. Si tratta di una farsa di alto livello, che oltre a essere zeppa di battute da citare per giorni vanta uno dei cast di comprimari più incredibili (Gene Hackman! Dianne Wiest! Christine Baranski! Hank Azaria, perdio!) che si possano trovare in una commedia corale. È scientificamente impossibile guardare questo film senza sorridere come un babbeo per più di 100 minuti – forse. (Non ci ho provato e non intendo farlo) —H.B.

Will Hunting – Genio ribelle (1997)

Non c’è storia di diseredati che scaldi il cuore come quella di Will Hunting (Matt Damon). Seduta dopo seduta nello studio dello psicologo Sean Maguire (Robin Williams), si dipana sullo schermo l’odissea di Will mentre il ragazzo si libera della sua corazza da duro e abbandona paure e insicurezze, fino a realizzare pienamente le proprie doti e potenzialità. Come Damon ha raccontato a Vanity Fair qualche mese fa, il genio di Robin Williams traspare alla fine del film con una battuta improvvisata che, se siete come me, vi siete rivisti tutto il film solo per arrivarci. Mentre sorridete tra le lacrime alla fine di Will Hunting verrà voglia anche a voi di scommettere su voi stessi. —Burake Teshome

10 cose che odio di te (1999)

Se i primi anni ’80 sono stati il periodo d’oro delle commedie romantiche per adolescenti, direi che, uscendo nel 1999, 10 cose che odio di te ha definito gli standard per tutte quelle a venire. La trama del film, un adattamento della Bisbetica domata di Shakespeare, è quella tipica delle scuole superiori: sorelle in conflitto, una ragazza popolare apparentemente irraggiungibile e «finti» appuntamenti che portano a sentimenti veri. Ma le interpretazioni di Heath Ledger e Julia Stiles (nonché la loro chimica bollente) superano la frivolezza e rendono il film rivedibile all’infinito. Aggiungete un giovane Joseph Gordon-Levitt, una colonna sonora da urlo e il top della moda anni ’90 da cui trarre ispirazione e avrete tutto quello che serve per la magia del cinema. Inoltre, solo Ledger poteva sciogliere i cuori cantando in pubblico una versione tanto imbarazzante di Can’t Take My Eyes Off of You. —Jaime Archer

Galaxy Quest (1999)

Anche se non sono mai stata una fan di Star Trek, ho sempre adorato questa intelligente parodia del fandom di cui quella serie è oggetto, in cui gli attori ormai alla frutta di una serie chiamata Galaxy Quest che si barcamenano stancamente tra convention per fan stralunati e inaugurazioni di centri commerciali di periferia si ritrovano proiettati in un’avventura nella vita reale con un gruppo di visitatori extraterrestri che venerano i personaggi fittizi della serie più di quanto potrebbero mai fare i terrestri. Alan Rickman conferisce un pathos shakespeariano al suo Dr. Lazarus ispirato a Spock, mentre Sigourney Weaver (che di alieni ne sa!) rende esilarante il suo unico compito: tradurre gli ordini dell’equipaggio al computer della nave. C’è persino un cameo architettonico dell’icona del modernismo losangelino, la Stahl House (Tim Allen vi si sveglia nel soggiorno con un gran mal di testa da doposbronza). Un po’ parodia, un po’ omaggio adorante, tutto il film ci ricorda perché amiamo la tv… e il cinema. —Radhika Jones

La città incantata (2001)

L’irresistibile epopea di Hayao Miyazaki racconta la storia di Chihiro, una coraggiosa ragazzina il cui trasloco in un nuovo quartiere viene interrotto quando la sua famiglia si imbatte in una tranquilla e bizzarra cittadina che, al calar della sera, si trasforma in una vivace località turistica per il mondo degli spiriti. Quando i genitori di Chihiro vengono trasformati in maiali dalla malvagia Yubaba, a lei non resta che lavare i pavimenti nei bagni pubblici di proprietà della strega. Avere 10 anni è mai stato più difficile? Nell’animazione strepitosa di Miyazaki e accompagnata dalla dolente colonna sonora di Joe Hisaishi, Chihiro bisticcia con gli spiriti del fiume, apprende la forza della vera amicizia e (in uno dei momenti più coinvolgenti del cinema moderno) si abbuffa di polpette di riso mentre singhiozza. Non si possono liberare i propri genitori dalla maledizione di una strega cattiva a stomaco vuoto. —Mark Alan Burger

Sognando Beckham (2002)

In questo gioiellino diretto da Gurinder Chadha, Jess Bhamra, un’adolescente indiana cresciuta a Hounslow, in Inghilterra, sfida i genitori per giocare nella squadra di calcio femminile locale con la nuova amica Jules (Keira Knightley). Si segnano gol, si prendono cotte per l’allenatore carino (Jonathan Rhys Meyers), si realizzano sogni e si afferma la capacità dello sport di promuovere il cameratismo e il merito. Non sapete cos’è lo spirito di squadra finché non avete visto le Hounslow Harriers aiutare Jess a mettersi il sari nello spogliatoio dopo la partita per farla tornare di corsa al matrimonio della sorella. E se Ted Lasso avesse guardato il padre di Jules spiegare la regola del fuorigioco usando i condimenti da tavola, non ci avrebbe messo tre stagioni a capirla. —R.J.

Orgoglio e pregiudizio (2005)

Poche cose possono combattere la patologia moderna dell’onnipresenza online, ma la versione di Orgoglio e pregiudizio del 2005 di Joe Wright offre una fuga quasi perfetta. Grazie alla fotografia sontuosa e alla recitazione intensa, la chimica che matura lentamente tra Elizabeth Bennet e il Signor Darcy (interpretati da Keira Knightley e Matthew Macfadyen) basta e avanza a raddrizzare qualsiasi giornata storta. Come scrisse una volta Jane Austen: «Non c’è niente come stare a casa, per un vero comfort». —Sarah Morse

Una parola per un sogno (2006)

Già da bambina Keke Palmer emanava carisma e sicurezza, e la sua interpretazione dell’undicenne Akeelah Anderson è una delle gioie di questa perla poco apprezzata. La testarda ragazzina è una piantagrane che marina spesso la scuola. La madre vedova (Angela Bassett) fa del suo meglio, ma fatica a dare alla figlia il sostegno di cui ha bisogno. Quando Akeelah mostra un talento per l’ortografia, diventa inaspettatamente una concorrente temibile nel campionato delle gare di spelling. Questo potrebbe aprirle le porte per una vita migliore, ma competere a livello nazionale richiede allenamento, denaro e concentrazione: l’ultima ce l’ha, gli altri due no. Laurence Fishburne interpreta un professore in lutto che diventa il suo allenatore, ma come le dice sua madre: «Scommetto che se ti guardassi intorno, troveresti 50.000 maestri». I trionfi di Akeelah ispirano l’intera comunità, e a quanto pare tutto il quartiere si raduna per aiutarla a mantenere la sua promessa. —A.B.

Sing Street (2016)

Anche a voi piacciono l’amore, i sogni, gli irlandesi, il desiderio, la ribellione, i fratelli maggiori severi a fin di bene, la nostalgia, la creatività, gli adolescenti che si esprimono con la chitarra acustica, la musica in generale e il pop degli anni ’80 in particolare con tutto quel trucco per gli occhi e quei cappotti strafighi? Sing Street è stato scritto e diretto da John Carney, che ha regalato al mondo il film premio Oscar su due musicisti di strada innamorati, Once (Una volta). Oltre a essere altrettanto genuino e pieno di musiche originali che rapiscono, direi che questo è anche (come si dice?) migliore. È il 1985, nel centro di Dublino. Il giovane Conor è costretto a frequentare una scuola cattolica piena di bulli e gestita da un preside dispotico e inquietante chiamato Fratello Baxter. Nel corso del film, Conor forma un gruppo per fare colpo su un’aspirante modella di nome Raphina, la inserisce nei video musicali della sua nuova band, trova la propria voce in tutte le accezioni del termine e immagina un futuro che neanche noi siamo del tutto sicuri sia possibile. Ci sono cose tristi nel film? Sì (non avete letto che parla di irlandesi?). Ma è talmente commovente, divertente e autentico che ti rimane in testa come una gran bella canzone pop. —Jeff Giles

Lady Bird (2017)

Il film che ha fatto conoscere al mondo la regista Greta Gerwig rende perfettamente lo strazio e l’estasi di essere un’adolescente. Christine «Lady Bird» McPherson (Saoirse Ronan) sogna di lasciarsi alle spalle la vita nella cittadina di Sacramento, dove si scontra regolarmente con l’inflessibile madre (Laurie Metcalf) e si impelaga in avventure sentimentali con Danny (Lucas Hedges) e Kyle (Timothée Chalamet). Lady Bird ha dei difetti, sì, ma ci si riconosce facilmente. E ad alleggerire i momenti più malinconici del film ci sono i deliziosi giochi di parole di Gerwig e una colonna sonora da urlo. Se solo il passaggio all’età adulta fosse altrettanto impregnato di stravaganza nella vita reale! —N.J.

Coco (2017)

Un film a lieto fine è ancora un film a lieto fine se fa piangere invariabilmente ogni singola volta? Io voto sì, perlomeno se stiamo parlando della caleidoscopica fantasticheria che potrebbe tranquillamente essere l’ultimo vero capolavoro della Pixar. Il nostro eroe è Miguel (Anthony Gonzalez), un ragazzino che finisce nella Terra dell’Aldilà durante la celebrazione di un fatidico Día de Muertos e parte senza volerlo all’avventura per raddrizzare un antico torto famigliare. L’animazione è magnifica, la musica è irresistibile e le battute sono davvero spassose, soprattutto quando coinvolgono il borioso fantasma di Frida Kahlo. E sì: il punto di massima tensione emotiva, quando arriva, è abbastanza devastante da sciogliere il cuore dell’adulto più gelido (davvero: quando il film è uscito, non si parlava d’altro!). Piangerete, e vi sentirete benissimo. —H.B.

Yesterday (2019)

Are your troubles here to stay? Do you need a place to hide away? Basta guardare questo film, in cui un cantautore in crisi di nome Jack Malik (Himesh Patel) ha un incidente, batte la testa e si risveglia in un mondo dove i Beatles non sono mai esistiti, ma dove lui ne ricorda miracolosamente le canzoni. E non solo le ricorda: le scrive anche, le esegue e ne cavalca la grandezza fino a raggiungere la fama mondiale. Come nel canzoniere dei Beatles, in questo film (scritto da Richard Curtis e diretto da Danny Boyle) c’è di tutto: amore, grazie all’accattivante interpretazione di Lily James; comicità (Kate McKinnon nel ruolo della manager spassosamente grossolana di Jack; Ed Sheeran nel ruolo di sé stesso); surrealtà (la premessa!); la gioia contagiosa della musica; e l’orgoglio di trovare qualcuno che avrà ancora bisogno di te quando avrai 64 anni. —R.J.

Sognando a New York – In the Heights (2021)

Anche se purtroppo la pandemia ne ha guastato l’uscita nelle sale, alla fine Sognando a New York si è dimostrato il film giusto al momento giusto. La pellicola di Jon M. Chu, basata sull’omonimo musical di Lin-Manuel Miranda vincitore di un Tony Award, è arrivata in sala (e sul servizio streaming allora conosciuto con il nome di HBO Max) nel giugno del 2021, proprio quando orde di persone appena vaccinate e affamate di intrattenimento erano pronte a lasciare finalmente le proprie case. Un musical gioioso sui piaceri (e gli occasionali dolori) della vita in una comunità vivace e affiatata era proprio quello che ci voleva. Anche senza questo contesto, comunque, Sognando a New York offre innumerevoli soddisfazioni: in particolare, una versione acquatica di 96.000 da applausi a scena aperta e l’interpretazione che sfida la gravità di When the Sun Goes Down da parte di Nina (Leslie Grace) e Benny (Corey Hawkins). —H.B.

Everything Everywhere All at Once (2022)

Solo un film a lieto fine che fa stare davvero bene potrebbe vincere praticamente tutti gli Oscar senza scatenare una reazione negativa di proporzioni gigantesche. Ma nessuno ha tirato fuori i coltelli per Everything Everywhere All at Once, la «commedia drammatica d’azione» vertiginosamente inventiva di Daniel Kwan e Daniel Scheinert. Che interpreti la trasandata proprietaria di una lavanderia a gettoni, un’elegante stella del cinema internazionale o una donna con le dita a forma di hot dog che si strugge d’amore, Michelle Yeoh sostiene senza sforzo anche le svolte più strampalate del film. E trova il partner perfetto nel suo collega Ke Huy Quan, vincitore dell’Oscar, il cui Waymond (a lei fedele in tutte le dimensioni) è l’indiscutibile cuore del film. Everything Everywhere All at Once è una corsa sfrenata e indimenticabile, talmente appagante che ci sarebbe davvero piaciuto occuparci di bucato e contabilità con questo film in sottofondo anche in un’altra vita. —H.B.

Ritrovarsi in Rye Lane (2023)

Cercate una commedia romantica gioiosa e originale, ambientata nella comunità nera della Gran Bretagna contemporanea? Ritrovarsi in Rye Lane vi consiglia di farlo. Pur svolgendosi nell’arco di una sola giornata, l’opera prima di Raine Allen-Miller ci fa compiere un vero viaggio emotivo e cinematografico. Il contabile Dom (David Jonsson di Industry) e l’aspirante stilista Yas (Vivian Oparah) si incontrano nel bagno unisex di una galleria d’arte, dove Dom sta piangendo per la fine di una storia. Visto che anche Yas ha il cuore spezzato, i due si ritrovano presto a vagare insieme per South London, dove ordinano burrito da un chiosco chiamato Love Quac’tually (un omaggio al re delle commedie romantiche britanniche Richard Curtis), condividono flashback di appuntamenti, sbrogliano i loro casini emotivi e si innamorano in modo davvero dolce. —J.P.



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