Non si definisce un’esperta di cucina, Luciana Littizzetto. «Ma sono un’esperta di cucina trafelata, quella delle madri che devono lavorare e far da mangiare contemporaneamente, trovando anche il tempo per la spesa». Eppure è tra i sei protagonisti del nuovo programma di Carlo Cracco, Dinner Club (prodotto da Banijay Italia), su Amazon Prime Video dal 24 settembre.
«Mi incuriosiva, soprattutto per il viaggio con Carlo. Non sono una grande viaggiatrice: preferisco farlo stando in poltrona, con un bel libro. Ma ero reduce dall’operazione al ginocchio dopo la mia caduta e quindi da mesi ingessata. Poi la pandemia… quando mi hanno detto che potevo uscire e visitare l’Italia è stato come un battesimo alla vita: la libertà, finalmente».
È stata in Basilicata e ha mangiato frattaglie.
«Andiamo sempre alla ricerca del cuore di questo, del cuore di quello… si dovrebbe invece imparare dalla cucina povera, specie nell’era dello spreco. Quello che consideriamo uno scarto si può rivelare buonissimo».
È una metafora che non vale solo per il cibo?
Quello dello show sembrava un gruppo unito. Era così?
«Siamo stati bene. Ho scoperto una Sabrina Ferilli davvero simpatica: voleva vincere a ogni costo. La tavola ti consente di gettare la maschera. Un po’ anche il vino…».
Quando si diventa genitori si deve per forza tornare in cucina. Non è così?
«Certo. Prima che arrivassero i miei figli, facevo anche dei corsi di cucina… mia nonna aveva avuto una trattoria: ero piccola ma ricordo le discussioni su come andavano fatti gli agnolotti o il vitello tonnato. Quando sono arrivati i ragazzi ho abbassato le piume: il maschio non mangia niente, non gli piace niente, quindi ho dovuto adeguarmi alla bistecca panata e alle penne al burro, senza parmigiano per carità. Le mie velleità sono state polverizzate».
Forse solo Cracco riesce a far mangiare di tutto ai figli…
«Cucina sempre lui a casa, dice. La cosa meravigliosa che ho capito è che sa cucinare».
Non è una truffa, quindi?
«A volte questi miti all’atto pratico non vengono a capo di nulla. Lui no. Poi, da bravo maschio veneto, mi ha dato molta sicurezza nel viaggio. Sapeva sempre dove andare, cosa fare, mi sentivo in una botte di ferro. Ho riscoperto il piacere del maschio-maschio. Quello che ti dà pure una mano a scendere dal camper, quando mediamente mi arriva la portiera in faccia».
La galanteria può convivere con il femminismo?
«Ma come no? Poi, la galanteria questa sconosciuta: non ci avevo a che fare da anni».
E questo è anche un po’ un messaggio per Fabio Fazio…
«Ma no, lui lo è. Però non ci esco molto. Per assurdo ho fatto più cene con Cracco che con Fazio, in tutti questi anni… ma non era geloso».
Nella serie ha raccontato che a carnevale, da bambina, la vestivano da spagnola.
«Mia madre mi ha comprato questo unico vestito di carnevale, che poi non c’è niente di più lontano da me… mi metteva anche la parrucca nera con la crocchia e mi faceva il neo. Una roba agghiacciante. E sopra questo abito rosso indossavo la giacca a vento perché faceva freddo e io mi ammalavo subito».
«Ero una bambina vittima dell’acetone perenne, di fatto non mi è mai passato: quando sono partita con Cracco mi sono portata dietro una fornitura di Biochetasi. Poi avevo spesso mal di gola. Stando sempre male, passavo in casa settimane. Leggevo le fiabe dei fratelli Fabbri: le imparavo a memoria e quando tornavo a scuola la maestra me le faceva raccontare ai compagni».
Quando ha capito di avere questa ironia?
«Da piccola. Essendo figlia unica da sempre hai il desiderio di piacere, di farti voler bene. Non sei mai in gara ma nell’attitudine di chiedere l’attenzione degli altri. A scuola dalle suore, le prendevo in giro… e gli altri ridevano».
Ora, nel suo racconto della vita, si espone anche alle critiche. Come le vive?
«Il dissenso è molto interessante, basta sia leale. Se c’è rispetto, se non c’è insulto o violenza, è il pensiero difforme che ci fa andare avanti».