Ecco la storia di 15 giorni intensi di volontariato in un maso altoatesino con Volontariato in montagna dove ho imparato tanto. Molto più di quello che ho dato
Si chiama Morella comune – Linneo in realtà la classificò come Solanum nigrum – e chi ha un orto la odia profondamente, perché cresce e prospera più di tutto ciò che si pianta con l’intenzione di farne un buon raccolto.
Nel Sud Tirolo chiamano questa erba infestante Francese in ricordo di quando Napoleone tentò l’invasione. Poi, i francesi si ritirarono. La Morella no. Io ci ho messo 4 giorni per sanare un orto non più grande di 20 metri quadri.
Il perché ve lo racconto qui insieme alla storia di 15 giorni di volontariato in un maso in Alto Adige a estirpare (sia la morella che la balsamina) e a conoscere nuove piante.
Scrivo questo articolo perché devo dare una anche la risposta a chi mi chiedeva “ma cosa vai a fare? Intendendo: sei matta?“.
Volontariato in un maso altoatesino
L’organizzazione di questa residenza agricola si deve all’associazione Volontariato in Montagna, per un’estate diversa: non è la prima volta che faccio volontariato in un maso con loro.
Qualche anno fa, in Val Martello, ho raccolto una quantità di fragole indescrivibile. L’organizzazione è sempre molto precisa e puntuale. Così è stato anche questa volta.
Una bella esperienza che consiglio per rilassare la mente. Il corpo no: quello caso mai lo tempri con lavori che non sei abituato a fare. Il lavoro manuale serve a questo. E in un maso, dove alla base c’è tanta attività agricola, non c’è un muscolo che riposi.
Allora alla domanda “ma cosa vai a fare?” La vera risposta è: “vado a vivere 15 giorni immersa nella natura. Vado a conoscere saperi antichi, territori salvaguardati da usanze secolari“.
Animali, erbe, frutta, fiori, legni che mi possono raccontare una storia. E io a mia volta posso raccontarla a voi.
Ci ospita (questa volta si è convinto anche mio marito a vivere questa esperienza) una famiglia a Santa Valpurga in Val d’Ultimo. Luis Gruber e Katharina Land. Lui nasce qui 68 anni fa, lei (siamo coetanee) arriva da Vienna una decina di anni fa e da qui non parte più, perché questa diventa la sua casa, il suo orto e le sue mucche.
Un maso senza una donna non “gira bene”, ha poco senso. È lei a imprimere gusto, ritmi e naturalità. Se l’uomo in un maso lavora tanto, la donna fa il doppio.
La stalla appresso all’abitazione è grande quanto una fabbrica. Su tre piani. In estate il più delle mucche sono su, alle malghe: ma Annette, Krona e Guenda sono qui e tre volte al giorno reclamano la loro dose di fieno. Due volte vanno al giorno poi munte. La giornata in stalla inizia alle 5:30 di mattina. Sono le mucche a dettare la tabella di marcia.
Fieno, tanto fieno mangiano le mucche. Tutto l’anno. Ecco perché il contadino cura i suoi prati con il massimo rispetto. Li irriga, li taglia, li pettina quasi.
Spesso è una corsa contro le bizzarrie del clima che anche in questa zona è sempre più imprevedibile. Alla mattina si ascoltano le previsioni del tempo: da lì si saprà se la giornata potrà prevedere il taglio, l’essiccatura, la raccolta del fieno.
E poi ci sono le erbe. Questi quindici giorni sono stati un libro aperto sulle erbe medicinali. Me le ha insegnate Katharina.
Nel suo orto non manca nulla: achillea, artemisia, camomilla certo. E anche la consolida maggiore che alcune usanze dicono sia in grado, in caso di frattura, di rigenerare il callo osseo.
Alcune piante vengono dal bosco: come il luppolo che cresce qui ora sulla staccionata. E tante ortiche che non invecchiano mai nell’orto perché si usano subito in cucina.
Katharina mi fa vedere anche le foglie di plantago (la riconosci se usi il nome comune perché è lanciuolata: piantaggine lanciuola) che una volta, quando non si usavano i cerotti, grazie alle loro proprietà cicatrizzante si mettevano sulle ferite. Ora appena spunta una vescica uso quella: guarigione al 100%.
Poi c’è il sedano di montagna che è il tocco necessario per fare dei buoni canederli. Il kren, ovvio in un orto altoatesino non può mancare. Così come i fiori belli e buoni, ovvero che poi si fanno seccare per le tisane: la malva, la rosa canina, la lavanda, la melissa, l’ibiscus.
E la verdura. Ovviamente. Che sfamerà il maso tutto l’anno perché Katharina sapientemente sottoporrà alcune verdure a un processo di fermentazione. E i barattoli custodiranno per i mesi invernali fagiolini, rape, barbabietole. Nella dispensa stanno accanto ai barattoli di marmellata: il riuso dei barattoli di vetro è una buona pratica da adottare.
Lontano dai raggi del sole si raccolgono le erbe per essiccarle. The e tisane prendono vita in estate e poi si consumano tutto l’anno, ognuno con la propria specifica proprietà.
Ma è la lotta alle erbe infestanti a essere quotidiana: i silenti fiorellini bianchi della morella che si insinuano in ogni dove. Per fortuna si estraggono dal terreno facilmente, soprattutto se è bello umido. Ma un’altra lotta senza confine è in atto da qualche tempo nella zona: quella alla balsamina. L’invasività di questa pianta desta seria preoccupazione.
Non è facile vivere in un maso. Una vita senza pause da segnare sul calendario. Si parla di ettari ed ettari di prati e di boschi da curare. I masi, si sa, in Alto Adige sono estesi perché vige ancora la regola del maso chiuso: si ereditano senza essere divisibili.
Ma alcuni giovani stanno tornando ad apprezzare questa vita. Qualche comodità è assicurata dalla tecnologia che facilita i lavori agricoli. Il resto è sapere apprezzare la natura che dà soddisfazione solo se la conosce in profondità.
L’incontro tra le nuove e le vecchie generazioni è ciò che assicurerà la continuità del sapere. Preludio per una terra sempre più sostenibile, unico baluardo alla crisi climatica.