Essere generosi allunga la vita. Era già noto da molti studi che dare danaro, condividere risorse e aiutare facesse vivere meglio, in modo più felice e più a lungo. Un nuovo studio effettuato dall’Istituto di ricerche demografiche del Max Planck Institute di Rostock, Germania, ha però dimostrato che c’è una relazione lineare tra l’ammontare e la frequenza del trasferimento e la lunghezza della vita. L’analisi suggerisce che la redistribuzione influenza il tasso di mortalità di un Paese, indipendentemente dalla sua ricchezza. E nelle società all’interno delle quali i membri si sostengono l’un l’altro si vive di più. I ricercatori hanno per la prima volta analizzato i trasferimenti di danaro dello stato e delle famiglie, e quanto ricevuto e quanto dato dai privati nel corso della loro esistenza, valutandone gli effetti su 34 Paesi.

L’Europa occidentale e il Giappone hanno dimostrato di avere e posizioni più alte nella graduatoria. In particolare la Francia e il Giappone, che hanno un rischio di mortalità basso, hanno dimostrato di avere un volume di trasferimenti più alto. Condividono infatti il 68 e il 69 per cento del loro reddito medio complessivo e riportano tassi di mortalità pari alla metà di Cina e Turchia, dove le donazioni sono pari al 44 e al 48 per cento. I Paesi sudamericani sono altrettanto generosi ma si fermano al 60 per cento. All’estremo opposto si trovano invece quelli dell’Africa sub sahariana, come il Senegal e il Sud Africa, e del sud est asiatico.

Gli studiosi ritengono che una spiegazione possa trovarsi nel fatto che gli esempi positivi corrispondono a comunità con un alto grado di coesione. E in questo caso la sopravvivenza aumenta del 50 per cento rispetto a situazioni in cui ci sono pochi legami sociali e si punta molto all’individualità.

Generosità e longevità sono tra i sei fattori che vengono tenuti in conto dalle Nazioni Unite per redigere il Rapporto mondiale della felicità, compilato ogni anno dal Network per lo sviluppo sostenibile, pubblicato ogni anno il 20 marzo nella Giornata internazionale della felicità. Quest’anno, e per il terzo consecutivo, il Paese più felice al mondo è risultato la Finlandia. L’Italia arriva solo al 30 esimo posto. Il comportamento generoso corrisponde anche alla fiducia, al mutuo rispetto, a quello di appartenenza e a una maggiore adattabilità. Le persone più felici sono anche più sane.

Ci si potrebbe domandare se la generosità è qualcosa di acquisito, dato che si suppone sempre che siamo naturalmente egoisti. La scienza però ha un’altra risposta. Non si tratta infatti di una costruzione culturale, ma di qualcosa profondamente legato alla natura umana. Le sue radici sono nella nostra biologia e nella nostra storia evolutiva. Animali di vario tipo, dalle api, agli uccelli, ai pipistrelli, alle scimmie, ai pesci, esibiscono forme simili di generosità, che vanno a beneficio degli altri, anche se appartengono ad altre specie.

Un meme girato molto sui social qualche settimana fa mostrava una gazza che faceva attraversare la strada a un porcospino, stimolandolo a fare più in fretta per evitare di finire sotto a un’automobile. La larga diffusione di questo comportamento dimostra che evidentemente ha aumentato le probabilità di sopravvivenza. Infatti corrisponde a delle strutture cerebrali precise.  Stimola i circuiti neurali della ricompensa e quelli attivati da sesso e cibo. E’ sicuramente collegato anche agli ormoni: l’ossitocina influenza le donazioni. ùInoltre anche i bambini più piccoli sono in grado di dimostrarlo, il che significa che è innato.

Il motivo per cui l’evoluzione ha incentivato questo modo di fare è il soggetto di molte ricerche. Potrebbe dipendere dall’utilità del reciproco altruismo (ti aiuto adesso per farmi aiutare dopo), selezione parentale (aiuto chi ha il mio Dna), o di gruppo. Oppure anche da meccanismi riproduttivi. Guadagnare una buona reputazione è fondamentale per essere più attraenti. Lo si può vedere nella maggiore quantità di danaro versata nelle donazioni quando chi raccoglie è donna e quando il precedente donatore è un maschio, col quale evidentemente ci si pone in competizione.

L’altruismo è stato necessario anche per creare le strutture cooperative che hanno permesso ai primi umani di organizzarsi per stare insieme. La disponibilità a regalare e a mettersi in gioco però dipende anche dalle caratteristiche del ricevente. Le persone preferiscono identificare specifici individui, piuttosto che generi astratti o anonimi, o gruppi.

Il team del Max Plank ritiene che queste informazioni possano servire per farci affrontare meglio il periodo della pandemia. L’aiuto infatti riduce la mortalità ma permette anche di superare le distanze, stringendo le connessioni sociali di cui abbiamo bisogno nonostante i protocolli prevedano che dobbiamo stare lontani. E nel momento in cui appare una crisi economica, è evidente che chi non la soffre non può non considerare che se tiene tutto per sé il mondo in futuro non sarà più lo stesso. Non è un caso dunque se nel momento del lockdown in molte città europee sono state organizzate brigate di solidarietà che hanno portato la spesa a chi non poteva uscire e generi alimentari recuperati dagli avanzi dei supermercati a chi era rimasto senza reddito.





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