La vicenda dei 27 giovani disabili, che nel giorno di Pasquetta, nonostante i posti riservati, non hanno potuto viaggiare a bordo di un treno da Genova a Milano, pone – come sempre in questi casi – lo stesso interrogativo: da chi è abitata l’Italia in cui viviamo e a quale codice etico rispondono il nostro vicino di casa, il collega di lavoro, l’occasionale tifoso che incontriamo allo stadio, chiunque possa entrare in contatto con noi e che, in un Ottocento redivivo, avremmo chiamato popolo?
L’accaduto è ampiamente noto e sarebbe inutile riassumerlo. Trenitalia comunica che è stato tentato tutto il possibile per far sentire a proprio agio la comitiva sfortunata e che, nell’incertezza di risolvere il problema in tempi stretti, ha messo a disposizione un autobus alternativo, impegnandosi a fornire ogni tipo di comfort: snack, bevande, assistenza, rimborso del biglietto. Dal canto suo la Polfer ha detto che era stata chiamata per «gestire» la situazione: quando gli agenti sono arrivati era già stata presa la decisione di predisporre dei pullman sostitutivi.
Quel che invece non torna, osservando le cose con il distacco del giorno dopo, è quanto sottile sia la linea di confine che bisognerebbe attraversare per sentirci ancora dentro una nazione orientata al senso dell’umano, una nazione che fa dell’attenzione verso il prossimo (e in questo caso verso chi è meno fortunato di noi) la bandiera di una civiltà pienamente conseguita.
La tentazione, in momenti come questi, è quella di marcare il degrado e magari sottolineare che in altre stagioni ci sarebbe stata solidarietà in chi ha occupato (per negligenza, per disinteresse) gli scompartimenti ferroviari destinati ad altri, snocciolando una serie di considerazioni tanto ovvie quanto scontate su una fantomatica età dell’oro, il mondo innocente di ieri, in cui avrebbe trionfato l’etica deamicisiana da libro Cuore.
Ma sarebbe un ragionamento sbagliato in partenza. Non è così sicuro, infatti, che nelle epoche precedenti avremmo assistito all’esercizio della compassione e della solidarietà come norma di comportamento abituale, se non altro perché più si affonda indietro negli anni e più si tocca con mano che le società meno generose erano quelle più povere.