Chiamato anche male di vivere, è un disturbo sempre più frequente. Secondo le statistiche ne soffre il 10-15% della popolazione italiana e può colpire chiunque, adulti e bambini, anche se il sesso femminile sembra essere maggiormente predisposto. Stiamo parlando della depressione, ossia una patologia psichiatrica caratterizzata dalla costante presenza di umore triste e vuoto. Al profondo senso di afflizione si associa, altresì, una sintomatologia fisica e cognitiva non indifferente. Il termine depressione è molto generico. In realtà esistono diverse tipologie della stessa. Abbiamo infatti:
- Il disturbo depressivo maggiore che è la forma più grave. Le sue manifestazioni sono invalidanti e interferiscono in maniera significativa con la quotidianità;
- Il disturbo distimico, i cui sintomi sono simili al disturbo depressivo maggiore, ma si presentano meno intesi;
- Il disturbo bipolare. Sono una serie di problematiche che consistono nell’alternanza di stati depressivi e di stati maniacali;
- Il disturbo depressivo post partum, noto anche come “baby blues“, esordisce tipicamente tra la sesta e la dodicesima settimana dopo la nascita.
Le cause della depressione
Sono tre i fattori alla base dell’insorgenza della depressione.
- Fattori genetici: è stato da tempo appurato che i familiari di primo grado di soggetti affetti da depressione maggiore hanno un rischio di soffrire della stessa da due a quattro volte maggiore rispetto agli altri individui;
- Fattori biologici: la malattia è spesso l’esito di alterazioni a livello di ormoni, del sistema immunitario e dei neurotrasmettitori. Alcune ricerche hanno puntato il dito sul deficit di serotonina, il cosiddetto ormone del benessere;
- Fattori sociali e psicologici: in persone di base già fragili e con esperienze infantili traumatiche alcune situazioni possono spianare la strada alla patologia. Tra queste figurano i lutti, le separazioni, i cambiamenti di lavoro, di città e di amicizie, la malattia di gente cara, i conflitti familiari.
Di recente gli scienziati dell’Okinawa Institute of Science of Technology hanno scoperto che il gene Tob è in grado di ridurre la depressione, l’ansia e la paura. Descritto per la prima volta nel 1996 nell’ex laboratorio del professore Tadashi Yamamoto, questo gene ha avuto un ruolo anche nel cancro, nella regolazione del ciclo cellulare e nella risposta immunitaria dell’organismo. Lo studio, pubblicato su Translational Psychiatry offre una speranza per la creazione di nuove terapie psichiatriche.
I sintomi della depressione
La sintomatologia della depressione è assai variegata. Le numerose manifestazioni possono essere classificate in diversi gruppi. Abbiamo dunque:
- I sintomi affettivi. Il paziente è costantemente triste e nulla riesce a distoglierlo dai suoi pensieri negativi, nemmeno ciò che un tempo era per lui fonte di piacere. Isolato dal mondo, non coltiva le relazioni e spesso ha un rendimento scarso al lavoro. A tutto ciò si associa una netta diminuzione del desiderio sessuale
- I sintomi cognitivi. Il paziente ha problemi di concentrazione e di memoria. Fatica a prendere le decisioni più banali e rimugina spesso sul proprio passato. Inoltre prova profondi sensi di colpa e l’autistima è assai minata
- I sintomi fisici. Il conflitto della psiche si riflette sul corpo. Il paziente può accusare mal di testa, dolori muscolari, articolari e addominali, tachicardia, vertigini, diarrea
- I sintomi comportamentali. Il paziente può ingrassare o dimagrire. Le ore di sonno possono aumentare o diminuire. Inoltre si assiste ad una maggiore lentezza nei movimenti, nell’eloquio o, al contrario, ad un’agitazione che si manifesta in vari modi: incapacità di stare seduti, stropicciarsi le mani, passeggiare avanti e indietro.
La depressione e la gentilezza
Gli scienziati della Ohio State University hanno scoperto che le persone affette da depressione constatano un miglioramento dei sintomi quando compiono buone azioni nei confronti del prossimo. Inoltre la gentilezza si è tradotta in miglioramenti non osservati in altre due tecniche terapeutiche altresì impiegate per trattare l’ansia. Lo studio, condotto dagli psicologi David Gregg e Jennifer Cheavens, è stato pubblicato su The Journal of Positivity Psychology. Secondo Gregg la connessione sociale è uno degli aspetti della vita più fortemente associati al benessere. Compiere atti di gentilezza sembra essere uno dei modi migliori per promuovere queste connessioni.
La ricerca ha coinvolto 122 pazienti dell’Ohio centrale con sintomi da moderati a gravi di depressione, ansia e stress. Dopo una sessione introduttiva, i partecipanti sono stati divisi in tre gruppi. A due gruppi è stata assegnata l’esecuzione di tecniche spesso impiegate nella terapia cognitivo comportamentale: pianificazione di attività sociali e rivalutazione cognitiva. Un gruppo è stato incaricato di pianificare attività sociali per due giorni alla settimana. Un altro, invece, è stato istruito alla rivalutazione cognitiva. Questi soggetti hanno tenuto registri per almeno due giorni alla settimana che li hanno aiutati a identificare modelli di pensiero negativi e a rivedere gli stessi così da ridurre la sintomatologia depressiva.
Ai membri del terzo gruppo è stato chiesto di compiere tre gesti di gentilezza al giorno per due giorni alla settimana. Tali manifestazioni sono state definite come “atti grandi o piccoli che avvantaggiano gli altri o li rendono felici, in genere a un certo costo per te in termini di tempo o risorse”. Tra le varie buone azioni figuravano la preparazione di biscotti per gli amici, l’offrire un passaggio e il lasciare post-it per i coinquilini con parole di incoraggiamento.
Compiere atti gentili fa star bene
Trascorse cinque settimane, tutti i partecipanti sono stati nuovamente valutati. Dai risultati è emerso che in tutti i gruppi si è evidenziato un miglioramento in termini di soddisfazione personale e una riduzione dei sintomi. Il grande vantaggio della gentilezza rispetto alle attività sociali e alla rivalutazione cognitiva è stato quello di far sentire le persone connesse le une alle altre, con conseguenti ripercussioni positive sul benessere. Cheavens ha notato che la sola partecipazione ad attività sociali non ha migliorato i sentimenti di connessione sociale.
La terapia cognitivo comportamentale resta comunque imprescindibile per gli individui depressi. Essa può essere potenziata proprio dalla pratica delle buone azioni. Così concludono gli psicologi: «Spesso pensiamo che le persone con depressione abbiano già un fardello pesante da affrontare e quindi non vogliamo ulteriormente appesantirle chiedendo loro di aiutare gli altri. Invece fare cose belle per il prossimo e concentrarsi sugli altrui bisogni può davvero fare la differenza e cambiare in meglio la quotidianità. Lo studio, tuttavia, necessita di ulteriri approfondimenti».