Conversazioni sulla gentilezza è stato il tema dell’incontro tenuto la sera del 21 ottobre nella cappella storica dell’Istituto avventista “Villa Aurora” di Firenze e proattivo alla nascita di un laboratorio permanente. A promuovere l’iniziativa il direttore dell’Istituto Davide Romano, la counselor Anna Maria Palma e la vicesindaca di Firenze Alessia Bettini.
Anna Maria Palma – Non c’è via per la gentilezza, la gentilezza è la via. Così ha aperto l’incontro Claudio Coppini speaker di radio Rvs, introducendo gli ospiti:
– Alessia Bettini, vicesindaca e assessora cultura, turismo, partecipazione, cittadinanza attiva, manutenzione e decoro, ambasciatrice di gentilezza nel progetto “Italia Gentile” che a Firenze, Comune gentile, ha organizzato due festival della gentilezza;
– Massimo Mori, medico, poeta intermediale, maestro di Tai Chi Chuan e Chi Kung, scrittore di saggi e articoli, l’ultimo dei quali “Poematica del principio” preso come testo di riferimento in diverse Facoltà italiane;
– Franco Cracolici, medico agopuntore, filosofo, presidente della Sipnei Toscana, anche lui scrittore di diversi articoli e saggi, l’ultimo dei quali, “L’arte di ascoltare” un vero e proprio manuale di gentilezza nella cura;
– Giovanni Varrasi, psichiatra e psicoterapeuta, attività svolte con passione come lui dichiara e poi scrittore, il suo ultimo libro Il taglio Osceno sta riscuotendo successo e arricchendosi di testimonianze sulle sensazioni che i lettori amano condividere con lui e che lui ascolta con molto interesse;
– Filippo Alma, docente in teologia e scienze religiose, scrittore, la sua tesi “L’accoglienza dell’altro nella diversità” richiama fortemente al senso di una gentilezza che mette radici nel profondo e non può essere solo manifestazione di buona educazione nelle relazioni.
Alessia Bettini ha aperto il confronto testimoniando quanto la gentilezza possa avere inciso sul suo modo di porsi, anche nel suo ruolo istituzionale e quanto è riuscita a realizzare i cambiamenti desiderati non partendo da posizioni redarguenti o gerarchiche, ma adottando semplici atti di gentilezza che ispirano a loro volta a compierne altri anche con persone diverse.
Sostiene di credere nella gentilezza come indispensabile paradigma da adottare e precisa che in quella costruzione del noi, del nessuno si salva da solo, dobbiamo partire da noi stessi e coltivare con cura il senso profondo della gentilezza come scelta di uno stile di vita consapevole, responsabile e per questo gentile.
Claudio ha passato la parola ad Anna Maria Palma coautrice insieme a Lorenzo Canuti del libro da cui ha tratto ispirazione il dibattito. L’autrice si è così espressa:
“Penso che negli ultimi tempi ci siamo spostati troppo sul dire e di conseguenza poco sul fare e meno che mai, sull’essere. Nel tanto dire, abbondiamo spesso nella lamentela e nella critica, entrambe da collocare con accortezza nel panorama della gentilezza. Mi sembra funzionale condividere in questo consesso l’importanza di riportare l’attenzione sui paradigmi base della comunicazione.
È impossibile non comunicare.
Qualunque tua parola, qualunque tuo gesto comunica qualcosa. Anche quando non parli, o quando non agisci, stai comunicando qualcosa. Profonda consapevolezza di questo, profonda attenzione a questo. E quindi profonda responsabilità, che diventa, con il corretto allenamento, response ability.
Cosa dovrebbe aiutarti ad abitare questa dimensione? Il desiderio, la profonda intenzione di non trattare male nessuno, di non considerare mai le persone, destinatarie di una qualche minaccia, di una qualche aggressione, anche micro-aggressione.
Quando pensiamo alle parole maltrattamento, minaccia e aggressione, seppure micro, viene quasi naturale pensare a qualcosa di forte, di fisico. Non è necessario arrivare a questo per vivere sensazioni di disagio.
Il secondo e il terzo paradigma li voglio qui considerare insieme.
‘In ogni comunicazione c’è un aspetto di contenuto e uno di relazione’.
‘Il come prevale sul che cosa’.
Gentilezza non contempla necessariamente che il contenuto di una relazione sia sempre un complimento, un apprezzamento, un interesse carezzevole per te, la manifestazione di un sentimento amorevole…
Gentilezza contempla che quando il contenuto della comunicazione rappresenti la manifestazione di un disagio, la correzione di un possibile errore, il disattendere di una probabile aspettativa, il disallineamento con una qualche idea, la relazione rimanga sana. Dalle parole usate per esprimere quel contenuto non dovrebbe mai scaturire la manomissione della relazione. Spesso tentiamo di metterla al sicuro con la frase ‘Ti voglio bene, ma…’. Frase vuota se al ‘Ti voglio bene’ non corrisponde il ‘Ti tratto bene’.
E se ho la voce alterata, se mi sto lamentando e anche minacciando, non ho in cuore quella gentilezza che rappresenta una vera e propria arte.
L’etimologia di questa parola, sembra derivi dalla radice ariana ar- che in sanscrito significa andare verso, ed in senso traslato, adattare, fare, produrre; radice che ritroviamo nel latino ars. Originariamente, quindi la parola “arte” aveva un’accezione pratica nel senso di abilità in un’attività produttiva, la capacità di fare armonicamente, in maniera adatta.
Gentilezza nella pratica, la capacità di fare armonicamente, in maniera adatta ad ogni circostanza, ad ogni contesto, nonostante i più disparati nonostante!”.
Il dott. Massimo Mori si è soffermato sul senso della gentilezza nel movimento anticipando e proponendo alla platea una esperienza di meditazione in movimento. Attraverso un armonico passaggio dalla posizione mapu al flusso delle mani si è creata una corrente energetica che ha consentito di metterci in un ascolto consapevole degli interventi successivi.
Il dott. Cracolici ha raccontato il suo venerdì da medico, testimoniando come il passare da un reparto all’altro di vari ospedali, incontrando persone in sofferenze singolari, accompagna il posizionamento degli aghi a un approccio di accoglienza e di gentilezza che passa dal sorriso allo sguardo benevolo, veicoli garantiti se non di guarigione, di profonda cura.
Il dott. Varrasi ha sintetizzato che quanto espresso nel libro preso ad ispirazione della conversazione in corso, riempie il concetto di gentilezza con decine di declinazioni e afferenze culturali e spirituali, cosicché tutte le critiche volte a considerare il termine solo come sinonimo di buona educazione, di cortesia, persino di ipocrisia, vengono rinviate ai mittenti troppo rozzi o in malafede.
“L’ho letto, seppure da scettico, ma ho annotato i punti salienti, dichiara, e li utilizzerò per la mia vita privata e per qualche comunicazione pubblica.”
Infine, il dott. Alma che, oltre a testimoniare con una sorta di piccolo post il valore della gentilezza espressa nel libro, al di là di quella ben più significativa che lui incontra nella sua professione e nella sua professione di fede, racconta un delizioso accaduto, in qualche maniera ispirato dalla copertina del libro. Mentre si accinge a prendere la tranvia, impegnato a fare il biglietto si accorge di non avere moneta adatta per farlo e una signora che lo osserva si offre di farglielo, commentando poi con uno sguardo alla copertina appunto, che può considerarlo un atto di gentilezza.
Claudio Coppini commenta e integra, e ripassa la parola all’autrice che ritiene significativo il fatto che la gentilezza possa essere considerata un paradigma che consente di modificare spigolature del proprio carattere, non sempre gentili.
“Io sono fatto così, questo è il mio carattere.” L’ultimo baluardo a difesa di un qualche comportamento non così gentile, non così rispettoso!
Non si nasce con un carattere, si nasce con un talento. Il carattere è un work in progress che contempla un divenire che si nutre di autoconsapevolezza, creatività, immaginazione, coscienza e profonda intenzione di esistere come contributi e non come ostacolo, di non andare mai a dormire pensando che qualcuno possa essersi sentito ferito, escluso, ignorato, non rispettato dalle tue parole o da tuoi comportamenti. Starà poi al nostro interlocutore, acquisire altre consapevolezze e assumere altre response ability per come vive le situazioni di disagio, ma di questo parleremo un’altra volta.
Questo “noi” prende vita da un reciproco trattarsi bene, soprattutto nei disagi e nelle difficoltà, nella parità e nel rispetto. E soprattutto nelle relazioni asimmetriche. Direi sempre, se vogliamo continuare a parlare di gentilezza, anzi se vogliamo continuare a praticare gentilezza.”
L’incontro si è chiuso con lo spazio alle domande e fra queste: “Ma essere gentili può equivalere ad essere tanto buoni da essere considerati stupidi?”
Noi che scriviamo e che leggiamo di gentilezza, soprattutto impegnati a praticarla, abbiamo la risposta consapevole, attenta, response abile: la gentilezza che permette di coltivare una bontà che non è buonismo, nella complessità di quello che questa parola esprime, non può sfociare mai nella stupidità.
Quanto si è svolto a Villa Aurora vuole essere l’inizio di un progetto che prenderà vita nel 2023: un laboratorio permanente di gentilezza, un’esperienza partecipata che vedrà coinvolte le persone impegnate quotidianamente a praticare questo prezioso paradigma. Quanto emergerà dai loro lavori sarà integrato dal contributo di professionisti di diverse discipline per poi dar vita ad una sort di book itinerante sulla gentilezza, per poter testimoniare che non c’è via per la gentilezza, la gentilezza è la via.
(Anna Maria Palma è Professional counselor, coach di intelligenza emotiva, autrice di numerosi articoli e testi sulla qualità delle relazioni, sulla gentilezza)