Gaetano Di Meglio | Viviana Pisano è la prima dottoressa ischitana ad essersi vaccinata contro il Covid-19. Medico pneumologo, mamma, moglie e amica di molti, Viviana rappresenta l’inizio di questo nuovo anno nel segno della rivincita contro il Covid-19 e contro tutti i danni che abbiamo subito dall’attacco di questa pandemia.
Un attacco completo su tutti i fronti, dal quale, però, stiamo iniziando a risalire e a cui abbiamo iniziato ad infliggere i primi colpi.
Quando abbiamo sentito Viviana, la dottoressa Pisano, ha appena smontato dal turno di pomeriggio e notte. Il pomeriggio di sabato e la notte che la divide dalla domenica mattina.
Le abbiamo chiesto di raccontarci questa esperienza. La dottoressa Pisano ci ha regalato parole, sincere, sentite ed emozionate.
“E’ stata un’esperienza bellissima che mi ha fatto versare anche lacrime di gioia, naturalmente. Per me significa poter avere un nuovo ottimismo verso il futuro, significa rivedere occhi che sorridono, significa riacquistare la nostra libertà e tornare a vivere. Certo, il pensiero va sempre a quelle persone che non ce l’hanno fatta a causa del Covid, perché, purtroppo, molte persone non ce l’hanno fatta. Molti hanno sofferto tanto. Penso anche ai familiari di queste persone che hanno sofferto tanto perché questo è il virus dell’alienazione, dell’abbandono, dell’isolamento e che non è facile da affrontare per tutta una serie di situazioni che si vengono a creare. Per cui devo dire che vaccinarmi è stata una scelta spontanea e naturale, non solo per il bene mio e di miei familiari, ma proprio per il bene di tutti.”
Sul vaccino, anche per motivi ideologici, c’è un gran trambusto e un vociare che rende questa pratica oscura. Chi scrive è pronto a vaccinarsi anche ora, proviamo a dare una parola di sicurezza e di incoraggiamento?
«I vaccini per essere approvati dalle autorità regolatorie devono aver dato prova di sicurezza più che di efficacia e, anche in questo caso, non è stata saltata nessuna delle regolari fasi di verifica. Forse vi é un po’ di scetticismo perché si pensa che i tempi che hanno portato a questa rapida attuazione della vaccinazione, ma questi tempi rapidi sono dovuti anche alle ricerche che sono state condotte su questa tipologia di vaccini RNA, che era già presente da molti anni, alle risorse umane ed economiche impiegate data l’entità della pandemia e, va anche detto che le agenzie regolatorie che hanno valutato man mano i risultati ottenuti, hanno aiutato a velocizzare le approvazioni. Però»
Prego.
«Naturalmente il rischio zero nella vita non esiste in alcuna attività ed è ragionevole avere paura. Tutti quanti possiamo avere paura, però è importante pensare al bene comune. Ed è ancora più importante che noi medici diveniamo promotori della salute. La Costituzione Italiana riconosce la salute quale diritto fondamentale non solo dell’individuo, ma anche dell’intera comunità e quindi dobbiamo vaccinarci senza avere remore».
Quello che si è appena concluso è stato l’anno della paura. Diciamocelo senza troppi peli sulla lingua. Dottoressa, qual è stata la paura peggiore che hai dovuto affrontare?
«Purtroppo la paura di vedere la sofferenza. Una sofferenza atroce! Le persone (si commuove, ndr) muoiono in una maniera bruttissima. Io seguo soprattutto i pazienti del reparto Covid della sub intensiva. Quindi seguo, comunque, pazienti che hanno condizioni cliniche generali gravi, che hanno il casco, che fanno una ventilazione assistita oppure diciamo che fanno ossigenoterapia ad alti flussi e spesso, forse, noi come operatori non avevamo modo di capire da vicino. Durante le attività di reparto non fai caso a tante cose, però questo virus ti mette proprio di fronte alla sofferenza delle persone. Ma la sofferenza più grande, oltre che quella respiratoria, è quella psicologica. Le persone si abbattono molto e quindi tu devi essere vicino a loro, diciamo soprattutto umanamente perché hanno bisogno anche di una mano che li accarezza.»
E quando finisce questa paura?
«Non finisce. Chi ha subito il Covid ricorda bene la paura che ha provato. La ricordano in maniera vivida e hanno sempre paura. E quella paura rimane addosso, cucita sulla pelle. Io lo vedo perché seguo i pazienti anche ambulatorialmente, e li vedi, comunque, che hanno paura di ricadere nella stessa situazione, si sentono dei miracolati. Ecco, chi si è salvato si sente un miracolato, ma proprio nel vero senso della parola. Quindi diciamo la paura è un po’ una emozione che, purtroppo, ci ha coinvolto molto in questo periodo».
Paura di sbagliare?
«Si. C’è anche la paura di non affrontare bene, come operatori, questa malattia perché si è vero, noi seguiamo i protocolli internazionali per la terapia, le evoluzioni della cura e, poi, però, facciamo i conti con i molti decessi, anche sul piano nazionale, e tutto questo ci ha fatto perdere un po’ la voglia di vivere ed è anche per questo che ho scelto di fare questo vaccino. E’ stata una scelta spontanea, naturale e rappresenta un atto di grande responsabilità che siamo chiamati a fare, tutti. Io l’ho fatto e la consiglio ai miei pazienti, ma siamo chiamati tutti a dare il nostro contributo contro questa pandemia.»