Sarò breve, perché la retorica e la beneficenza fanno a pugni come la panna sopra il gelato al limone: in tempi di coronavirus, lockdown ed economia azzerata come il reddito di molti lavoratori, a Firenze nasce una onlus che si chiama Nuovo Rinascimento. Sono imprenditori della ristorazione che hanno deciso che “se dobbiamo morire e probabilmente non riaprire più il ristorante almeno vogliamo uscire di scena con stile e facendo del bene al prossimo” e così, anche grazie alla collaborazione con la Croce Rossa, mettono in piedi un’attività dove sfruttano i propri locali fare da centro per la raccolta e il successivo smistamento di generi di prima necessità a chi ne ha bisogno. Quanta gente ha perso il lavoro, è emarginata oppure si trova nella terribile condizione di non riuscire a garantire i pasti alla propria famiglia? Io non lo so, ma credo molta.

Però a Firenze c’è anche un gruppo MC, si chiama Iron Fist. Avete presente Sons of Anarchy? Ecco, gli Iron Fist sono un gruppo di motociclisti tipo quelli descritti nella serie televisiva ideata da Kurt Sutter: fragorosi, decisamente non confondibili con chi la domenica prende la moto per andare a passeggio sul lago e, per loro stessa ammissione, gli appartenenti ai Motorcyle Club – a tutti gli MC che sui gilet hanno le tre patch – sono differenti dal resto del motociclismo.

Agli Iron Fist giunge la notizia che c’è bisogno di qualcuno che porti i beni di prima necessità a chi non ce la fa proprio, in questo periodo feroce: ci pensano loro.

Ogni giorno dalle 10 fino alle 16 fanno turni di 2 ore per consegnare con le loro motociclette la spesa raccolta attraverso e da Nuovo Rinascimento: alimentari, sopratutto. Si mettono a disposizione gratuitamente (anzi, a proprie spese dato che il carburante per le loro moto ha un costo), regalano il proprio tempo a chi ha bisogno di solidarietà.

Sembra una di quelle storie che fai fatica a mettere insieme tanto sono banali. Vieni sbattuto a terra dai luoghi comuni, dalla mielosità della vicenda che vede dei motociclisti – così arcigni, signora mia! – fare tanto, bene e gratis e ti perdi una cosa: i volti. Gli Iron Fist sono motociclisti, e persone. Come i personaggi di un racconto hanno motivazioni, spinte, passioni: ho parlato con due di loro, per cercare di uscire dalla gloriosa banalità del loro bellissimo gesto quotidiano e dare spessore a ciò che già possiede altezza e larghezza. Anche noi di Moto.it siamo motociclisti: ridurre l’umano e disinteressato spendersi dei bikers fiorentini a favola di costume sarebbe mancare loro di rispetto, e non lo meritano.

Sasà “Gisci” è il mio primo contatto con gli Iron Fist: ex paracadutista, calabrese ma trapiantato a Firenze da un po’. Oltre alle due moto in garage, ha una moglie (biker anche lei) e un figlio che “aspetta di arrivare a 18 anni per mettersi il gilet sulle spalle”. Salvatore mi spiega come funziona la loro collaborazione con Nuovo Rinascimento: “Tutti noi bikers ci siamo tesserati in modo da finanziare l’associazione, altri beni sono messi a disposizione dagli ultrà viola che si sono autotassati, alcune famiglie collaborano oltre allo stesso proprietario del Gattabuia (uno dei locali che vengono utilizzati come perno dell’attività di distribuzione ndr) e agli amici che intervengono con donazioni”. Tutti giorni gli Iron Fist consegnano la spesa raccolta da Nuovo Rinascimento a chi non può permettersela. “Ho visto l’imbarazzo di una signora, poverina, che aveva la figliola di 16 anni che non mangiava da due giorni.

Ma quella più significativa è successa a Fabbro, il vice presidente: una signora di novant’anni alla quale Fabbro ha dovuto memorizzare il numero di telefono dell’associazione per farci richiamare per qualsiasi esigenza, insomma cerchiamo di aiutare in tutti i modi che possiamo. Purtroppo la realtà è piena di questi casi”.

Non avete paura di prendere il coronavirus? “Senti, ci mettiamo la mascherina, i guanti, ci si copre e si va a casa delle persone. Aiutare gli altri è più forte della paura. Se ti devo dire la verità, io non ho paura. Quando hai aiutato gli altri, al limite se ti ammali tu… il rischio lo corri volentieri anche se poi devi fermarti per 40 giorni”.

Gli chiedo se un po’ questa delle consegne non è una scusa per continuare ad andare in moto durante il lockdown: “Questa è la sensazione che ho vissuto il primo giorno: onestamente, un po’ questa cosa è nata come scusa per poter riprender le moto e per poterci rivedere; ma alla fine dei salmi tutto è poi confluito nel rispettare al 100% quello che stiamo facendo con l’unico scopo di aiutare gli altri, non di girare in moto. Nessuno di noi approfitta dell’autorizzazione della Croce Rossa per andare in giro se non per consegnare le sue due o quattro spese durante il proprio turno e poi tornare dalla famiglia. La prima cosa che ho detto quando abbiamo iniziato è stata non facciamo i cretini, anche perché siamo personaggi un po’ sopra le righe”.

Quando finirà quest’emergenza, tornerete ad essere brutti sporchi e cattivi? “Quello è fondamentale“, mi risponde a bruciapelo, ridendo: “appena passa l’emergenza si torna ad essere quello che siamo, perché non siamo mai stati diversi. Da quelli brutti sporchi e cattivi probabilmente arriva sempre il bene: io è una vita che cerco di aiutare la gente, anche nel piccolo del mio lavoro”.

“Il biker in generale è uno spirito aperto e libero, siamo un gruppo, siamo tutti fratelli e questa fratellanza si è molto rafforzata, ed è stata proprio questa fratellanza che ci ha aiutato a metterci a disposizione degli altri: abbiamo il mezzo che da meno problemi di tutti (la moto, ndr), anzi quando passiamo sotto il balcone magari la gente sente il rumore della nostra moto e sorride, la fai rinascere…”.

Se per caso venisse un altro gruppo MC “concorrente” ad aiutarvi? “Se gli altri si vogliono aggregare ben vengano, qui bene o male bastiamo noi ma se servono altri, si chiamano altri. Nulla è chiuso, non è un discorso politico o di religione“.

Ottima risposta a chi dopo aver visto Sons of Anarchy si è fatto tante domande sui gruppi MC.

Me lo ribadisce Pietro, il Boss: presidente e fondatore degli Iron Fist.

“Questa cosa di fare le consegne dei beni di prima necessità mi ha preso subito perché smonta lo stereotipo del biker sporco brutto e cattivo e degli MC. La vita da MC non è quella del classico motoclub da uscitine domenicali, diventa uno stile di vita, ci sono delle regole“.

“Il Motoclub è diverso dal Motorcycle Club: nel 2011 eravamo tre o quattro amici, una cosa goliardica… ma siamo durati una stagione, perché un altro club grande ci ha tolto le patch. Allora dissi che volevo fare il mio MC, una cosa impensabile per un’appartenente alle forze dell’ordine, come me, ma alla fine siamo riusciti veramente a creare una famiglia, è una bella realtà: nella chat del gruppo troverai sempre qualcuno disposto a darti una mano”.

Ma che differenza passa tra voi e Sons of Anarchy?

“La serie tv è molto romanzata, in Italia non si è certo a quei livelli. Nella serie sono rappresentati gli Hell’s Angels e i Bandidos, in America questi due club si ammazzano realmente tra di loro perché si contendono il traffico di droga e di armi”, ma c’è di più: “quelli che hanno sul gilet il simbolo 1%: sono quei club MC che hanno un profilo come quelli di Sons of Anarchy, invece chi non ha questo simbolo, tipo gli Iron Fist, ha un’anima legale. La differenza è che negli onepercenters non può entrare a farne parte un appartenente alle forze di polizia (mentre invece Pietro non nasconde affatto, anzi, di essere un tutore della legalità ndr)”.

Con la vostra iniziativa, tra l’altro, le forze dell’ordine vi guardano in modo diverso: “sì, la cosa che ci fa sorridere è che all’inizio di questa iniziativa le forze dell’ordine, quando giravamo con le moto, ci fermavano spesso… ora quando ci incrociano ci fanno il saluto con le due dita”. Ma non sono soltanto sorrisi: “A Pasqua siamo andati a portare la spesa ad un signore, prima del casino del covid lavorava in nero e adesso è senza lavoro. Sì è messo a piangere, era imbarazzato, non mangiava da tre giorni.” Oppure, nel più abusato stile americano: “una vecchietta si aspettava il classico volontario della Croce Rossa… ma a portarle la spesa è andato uno di noi un po’ più in stile Sons of Anarchy: pantaloni mimetici, braccia tatuate, il casco indosso, mascherina… la signora non voleva aprire“.

Quanto quest’emergenza finirà, cosa vi avrà lasciato? ” Questa storia lascerà un segno: un MC è uno spaccato della società. C’è lo sbirro, c’è quello mezzo matto, c’è quello che ha avuto qualche problema con la giustizia, c’è la persona per bene. Ho visto ammorbidirsi quelli più duri, i “Bad Boy“: quelli che partono per primi quando c’è da “imporsi” con un altro club. Nel male, un pizzico di bene c’è. Ci ha unito un po’ di più. Le nostre attività erano le scorribande, giri in moto, birrate varie… ora nella nostra chat ci sono soltanto i turni per fare beneficenza. Abbiamo ricevuto apprezzamenti da un po’ da tutti, faremo anche una patch commemorativa.

Credo che qualsiasi buona azione che tu possa fare non rimanga circoscritta, come quando si lancia una pietra in un lago si formano cerchi che si espandono sempre di più…”.

 





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