É reale la preoccupazione per il calo del sostegno agli enti del terzo settore che, secondo il monitoraggio a cura dell’Istituto italiano della Donazione sul primo trimestre 2020, vede l’81 per cento delle realtà fronteggiare un impatto importante sul fundraising e il 40 per cento denunciare un calo superiore al 50 per cento.
Da un lato, quindi, abbiamo avuto a che fare con “il più grande avvenimento solidale della storia recente italiana”, come è stato definito da Italia non profit il record di donazioni destinate all’emergenza sanitaria (quasi 166 i milioni raccolti dalla Protezione civile, cinque volte quanto fu totalizzato per il terremoto nel Centro Italia del 2016); dall’altro con una netta diminuzione dei contributi e delle entrate da appalti pubblici o dalle vendite di beni e servizi per le imprese non profit. Nove su dieci infatti, secondo l’indagine condotta dal centro studi Aiccon dell’Università di Bologna per conto del Forum nazionale del Terzo Settore, sono gli enti che segnalano un’elevata ripercussione dovuta al Covid-19 e il 72,2 per cento degli intervistati non ha dubbi in merito alla futura crisi delle donazioni (per il 35,2 per cento addirittura forte).
“Il vero dramma per il terzo settore è quello di non avere potuto ricevere sussidi a fondo perduto”, racconta al Foglio Elisabetta Melandri, Presidente Cies Centro Informazione Educazione allo Sviluppo. “Solo così avremmo compensato il blocco dei progetti in corso, come quelli di cooperazione e formazione. Ora certamente dovremo reimpostare le campagne ma sarà dura, sia perché il tema sanitario verrà percepito ancora a lungo come l’unico degno di attrarre solidarietà, sia perché sarà minore la disponibilità finanziaria delle persone”.
E come in tutti i comportamenti umani, anche dietro il fenomeno sociale del fundraising si possono rintracciare precisi meccanismi psicologici e processi cognitivi che vanno a determinare esito ed entità della donazione. Il senso di vulnerabilità generale tipico di questa stagione di pandemia ha attivato una febbre da solidarietà, più contagiosa del virus stesso: tra appelli social, crowdfunding ed elargizioni da parte di fondazioni, ong e altri soggetti, si è arrivati a quota 1 miliardo di euro e a contribuire sono state anche fasce di popolazione di solito distanti da questo tipo di operazioni, come i giovani fra i 18 e i 34 anni.
“Lo scoppio della pandemia, la paura del contagio per un virus misterioso, il lockdown hanno rappresentato un momento drammatico e straordinario della nostra comunità nazionale, che ha mobilitato le coscienze di molti con gesti di sensibilità e di solidarietà diffusi”, afferma David Lazzari, Presidente dell’Ordine nazionale degli psicologi. “Il picco di donazioni si è sviluppato in uno scenario nuovo, in cui i cittadini hanno percepito il bisogno, anche psicologico, di sentirsi uniti e solidali, manifestandolo concretamente”.
Fiduciosi che un tale sforzo collettivo non si esaurisca qui ma vada a rinsaldare il patto del terzo settore con i donatori, la speranza è che questa epidemia abbia realmente reso le persone più consapevoli del fatto che, solo come comunità compatta, si potrà essere davvero tetragoni davanti al rischio comune e che questo virtuoso trend di donazioni prenda in considerazione anche progetti e missioni di minor “prossimità”, giovando ad organizzazioni non operanti nel campo dell’assistenza medica strettamente intesa.
“Uno strumento per ridare vigore al Terzo Settore che non si occupa di emergenza sanitaria è certamente il 5 per mille”, dichiara Anna Fasano, presidente di Banca Etica. “Da poco abbiamo presentato lo studio di Banca Etica sul 5×1000 che evidenzia una solida relazione di fiducia tra gli italiani e il Terzo Settore: una relazione che offre però ancora ampi margini di ulteriore miglioramento. Stiamo inoltre monitorando le misure governative di risposta all’emergenza, che includono anche le realtà non profit, il cui ruolo è destinato a crescere nella ripresa post-pandemia”.