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Cresce la voglia di aiutare gli altri
Di Gianluca Ricci
La pandemia di Covid-19 ha preso in contropiede tutti i governi del mondo: nessuno era attrezzato per combattere una diffusione così rapida ed estesa di un virus che ha mostrato la sua faccia più feroce soprattutto contro i più deboli.
Chi ha dovuto prendersi pesanti responsabilità lo ha fatto senza poter contare su precedenti esperienze, che confortassero determinate scelte o permettessero di individuare strade rettilinee da percorrere fino all’eliminazione del contagio.
Ognuno si è ingegnato a suo modo, anche se alla fine tutti hanno dovuto convergere sull’unica forma oggettivamente valida di resistenza, ovvero il distanziamento sociale.
Un provvedimento che ha finito per creare ulteriori problemi, soprattutto di carattere economico, ma non solo.
Problemi ai quali gli stati, nessuno escluso, non sono riusciti a far fronte con l’autonomia delle loro risorse, ma hanno dovuto far ricorso a forze esterne, rappresentate da quella meravigliosa realtà che si chiama volontariato.
Mai come in questo periodo le comunità si sono strette intorno agli elementi più deboli e sfortunati e hanno fatto quadrato, impiegando energie che abitualmente venivano dirottate altrove e che invece ora sono ben indirizzate ad alleviare le pene di chi sta soffrendo di più.
Le risposte agli appelli che giorno dopo giorno si sono fatti sempre più pressanti sono state a tratti persino commoventi, visto che la parte sana della società non ha esitato un momento ad esporsi pur di garantire un sostegno a chi in quei frangenti non ne aveva nessuno.
Più di centomila giovani in aiuto degli anziani
Spesso azioni apparentemente modeste, ma significative per il loro valore simbolico e sociale: moltissimi giovani si sono offerti per aiutare le persone più anziane a svolgere le consuete faccende quotidiane rese più difficoltose, se non impossibili, dall’applicazione delle restrizioni imposte dalle leggi.
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Fare la spesa, recarsi in farmacia ad acquistare le medicine necessarie, fare da tramite, insomma, con il mondo esterno: operazioni in tempi normali piuttosto semplici e banali che invece in situazione di emergenza sono diventate importantissime.
Il Ministero della Salute ha calcolato che “i nuovi angeli”, come retoricamente vengono definiti coloro che si sono messi a disposizione degli altri, sono più di centomila e che grazie a loro è stato possibile organizzare i servizi essenziali in modo più razionale senza dover disperdere energie utili ad occuparsi di questioni apparentemente insignificanti, ma in realtà di grande importanza sociale.
C’è stato anche chi si è messo a disposizione e ha dato una mano ai vigili del fuoco e agli uomini della Protezione civile per montare le decine e decine di tende innalzate davanti agli ospedali in modo da poter evitare pericolose promiscuità nell’accesso, oppure chi ha raccolto l’appello delle autorità e ha svolto servizi di controllo nelle stazioni ferroviarie o negli aeroporti, oppure, ancora, chi si è affiancato agli uomini incaricati dai singoli comuni di distribuire le mascherine ai presidi ospedalieri e agli abitanti.
Medici in pensione hanno rimesso il camice
Per non parlare dei tanti, tantissimi medici ed infermieri ormai in pensione che hanno ritenuto opportuno indossare di nuovo il camice per andare a dare una mano ai loro ex colleghi, improvvisamente oberati da una mole di lavoro purtroppo straordinaria.
Le associazioni di volontariato ufficialmente riconosciute hanno poi dato un contributo significativo nell’organizzazione delle strategie per rallentare il contagio, mettendo a disposizione delle autorità i loro uomini e le loro strutture, come accaduto per esempio ad Emergency, che ha allestito il suo ospedale da campo presso la fiera di Bergamo in modo da affiancare le sue disponibilità a quelle, ormai ridotte allo stremo, dei nosocomi cittadini.
Solidarietà anche tra vicini di casa
Molti di coloro che si sono improvvisamente trovati liberi dalle loro occupazioni perché costretti a casa dai decreti presidenziali hanno deciso di mettere a disposizione le loro competenze per aiutare i loro vicini, un modo come un altro per sentirsi utili in un momento di estrema gravità e per distribuire anche a chi non ne ha un po’ di opportunità.
A Londra 24 volontari per testare una versione depotenziata del virus
Ognuno, insomma, fa quello che può e quello che si sente, anche senza dover arrivare al punto di mettersi a disposizione per fare da cavia umana alla sperimentazione di un vaccino da distribuire in tempi rapidi: eppure c’è chi sta per intraprendere un percorso scientifico piuttosto rischioso per poter trovare la cura alla pandemia.
Il Queen Mary BioEnterprises Innovation Center di Londra ha infatti lanciato un appello per reclutare 24 volontari a cui inoculare una versione depotenziata del virus: lo studio delle loro reazioni potrebbe rivelarsi fondamentale per individuare i possibili rimedi, anche se nessuno è in grado di prevedere come potrebbe evolvere la situazione.
Non si tratta di volontariato puro, visto che il coraggioso gesto sarà remunerato con un assegno di quasi 4mila euro.
Tuttavia, trattandosi di una missione davvero rischiosa, ad incidere sulla scelta dei 24 coraggiosi più che la sete di denaro sarà la volontà di dare un contributo sostanziale alla lotta alla malattia.
Una lotta che evidentemente non può prescindere da ciò che nessun virus riuscirà mai a sconfiggere, cioè la solidarietà fra esseri umani.
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